STORIE  VERE  E  FANTASTICHE  DELL’ISOLA  DI  SARDEGNA

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QUEL     PIRATA     DI     MIO 

    "NONNO"

 SU  MERE  DE  SA  IDDA

 

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Angelo   meridda   Dessena

Maggio  2011 


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“Dedicato”

ALLA   GRANDE

FAMIGLIA   dei   MERIDDA

sparsa  in  tutto  il  Mondo

               Angelo   Meridda   Dessena 

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In  copertina :        “TEMPESTA 

                       disegno  di  Michele  Meridda  (anni  50)

                         - matita  su  carta  brunita al  salnitro -

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=<  P R O L O G O >=

  Il  cognome  “Meridda”  è  un  cognome  abbastanza  giovane,  forse 

non  più  vecchio  di  cinque  o  seicento  anni.

  La  sua  origine  è  molto  incerta  e  non  deriva  certamente  da

“Mèrida “, città  della  Spagna  di  origine  romana  che  anticamente

si  chiamava  “Emerita  Augusta”  e  che  coll’andare  del  tempo  la

gente  ha  ridotto  ai  minimi  termini  sino  a  Mèrida.

  Alla  città  di  Mèrida  nello  Iucatan,  in  America  Centrale,  sono 

stati  gli  stessi  Spagnoli  che,  dopo  la  conquista  dell’America 

hanno  dato  quel  nome   in ricordo  della  loro  città  in  Spagna.

  Mio  padre  Gavino  Meridda,  raccontava  che  un  suo  parente

aveva  fatto  una  ricerca  negli  Archivi  Comunali  e  Parrocchiali

facendo  il  cammino  a  ritroso  per  scoprire  la  provenienza   degli

antenati  ma  giunto  all’anno  1500,  in  una  parrocchia  della

Gallura  si  era  imbattuto  in  un  Meridda  del  quale  non  venivano

citati  i  genitori  (figlio  di  e  di)  perché  sicuramente  sconosciuti  

ma  per  meglio  definirlo  c’era  un’annotazione  che  lo  qualificava  

come  “Pirata  Corsicano”  e con  quello  la  ricerca  si  era  fermata.

  Anticamente  era  pratica  comune  negli  Archivi  Parrocchiali  indicare

in  qualche  modo  le  persone  di  cui  non  si  conosceva   il  nome  o  i 

genitori  per poterli   eventualmente  identificare  in  un futuro, e  così 

si  possono  trovare:  “nome e cognome  pobre  camminante”  oppure 

solo  “Un  Pobre”,  “Un  Cavalcane”, ecc.

  Nei  secoli  passati  in  Corsica  c’erano  molti  banditi  che  per

sfuggire  alla  giustizia  scappavano  in  Sardegna  (in Gallura) 

essendo  il  posto  più  vicino  e  facilmente  raggiungibile  e    si

stabilivano  in  attesa  di  un  eventuale   condono.

  E’  possibile  che  uno  di  questi  banditi,  un  pirata,  scappato 

dalla  Corsica,  si  sia  stabilito  in  qualche  stazzo  della  Gallura 

e  lì, sfruttando  il coraggio e  lo   spirito  combattivo  di  fuorilegge, 

abbia   assunto  il  ruolo  di  difensore  dei  poveri  e  dei  deboli 

meritandosi  la  stima  ed  il  rispetto  di  tutti  i  suoi  compaesani 

tanto  da  essere  soprannominato   ed  acclamato  come  il  padrone

(Su  Mere)  del  paese  (De  Sa  Idda).

  Col  tempo, nella  bocca  dei  Sardi,  questo  sopranome  sarà

diventato  “Mere ‘E  Idda”,  “Mere  Idda”  ed  infine  “Meridda”

                                                                                 (n.d.a.)

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QUEL     PIRATA     DI     MIO 

 

   "NONNO"

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   §- In  uno  sperduto  stazzo  della  Gallura, Antonio, un  vecchio 

quasi  centenario,  stava  seduto  sulla  soglia  di  casa  con  le  mani 

sulle  ginocchia  e  gli  occhi  fissi  verso  il  mare  dove  in  lontananza 

si  vedevano  le  alte  montagne  della  Corsica.

      Il  sole  stava  tramontando  e  tra  i  rossi  bagliori  che  si  rincorrevano

sui  monti  al  vecchio  sembrò  di  vedere,  come  in  un  film,  il  lungo

e  avventuroso  cammino  della  sua  vita.

  Vedeva  un  giovane  e  robusto  pastorello  coi  capelli  lunghi,  sporco

e  con  gli  abiti  stracciati  che  pascolava  sul  monte  Alticcione,  nel

Nord  della  Corsica,  le  sue  magre  capre  semiselvatiche  come  lui 

dalle  quali  traeva  a  mala  pena  il  necessario  per  sopravvivere. 

    Figlio  unico, era  rimasto  orfano  di  entrambi  i  genitori  sin  da  piccolo 

ed  aveva  continuato  a  vivere  nel  loro  freddo  e  misero 

ovile  in  cima  alla  montagna  solo  con  le  sue  capre. 

  Un  giorno,  cercando  una  capra  dispersa,  si  era  spinto  lontano 

dall’ovile  ed  era  arrivato  ad  un  gruppo  di  case  dove  abitavano

diverse  persone  che  sia  dall’aspetto  fisico  che  dall’abbigliamento

mostravano  di  vivere  nell’agiatezza  e  nella  prosperità.

  Venne  accolto  con  molta  cortesia  e  familiarità,  tipica  della  gente

corsicana,  e  così  seppe  dal  capofamiglia,  che  loro  traevano  la  loro

ricchezza,  oltre  che  dal  lavoro,  anche  da  tutte  le  cose  che  il  mare,

nei  giorni  di  tempesta,  buttava  sulla  spiaggia  e  che  loro  in  parte

tenevano  ed  in  buona  parte  rivendevano.

  L’uomo  aveva  spiegato  al  ragazzo  che  se  anche  lui  avesse  voluto

raccogliere  le  cose  portate  dal  mare,  avrebbe  dovuto  andare  alla

vicina  spiaggia  di  Meria  e  li,  anche  lui,  forse  avrebbe  potuto  trovare 

qualcosa  da  portare  a  casa.

   Tornato  al  suo  ovile,  Antonio,  aveva  aspettato  con  impazienza  che

il  tempo  si  mettesse  al  brutto  e  quando  finalmente  un  giorno  arrivò

il  forte  vento  di  Maestrale  con  nuvolosi  neri  carichi  di  pioggia,  si 

incamminò  verso  il  mare.

  Quando  giunse  sull’alta  scogliera  che  sovrastava  la  spiaggia  trovò

già  diverse  persone  sedute  attorno  ad  un  grande  fuoco  e  tra  esse

c’era  anche  il  capofamiglia  che  aveva  conosciuto  tempo  prima.

  Questi  subito  si  alzò  e  gli  andò  incontro  salutandolo  con  molta

familiarità  e  lo  invitò  a  sedersi  vicino  a  lui.

  Antonio  chiese  al  suo  amico  quando  sarebbero  potuti  andare  a

prendere  le  cose  sulla  spiaggia  e  quello  per  tuta  risposta  gli  fece

vedere  il  mare  burrascoso  che  muggiva  paurosamente  mentre  le 

sue  onde  si  infrangevano  contro  le  rocce  della  scogliera.

  <<Vedi>>  gli  disse, <<non  ci  sono  navi  in  mare  e  senza  navi

non  c’è  niente  da  raccogliere.  Quando  le  navi  arrivano  in  questo

stretto  passaggio  tra  la  costa  e  l’isola  di  Capraia,  che  vedi  li  in

lontananza,  le  forti  correnti  e  le  grandi  onde  spesso  le  spingono

verso  gli  scogli  e  li  si  rompono  a  pezzi  e  tutto  quello  che  c’è

dentro  viene  spinto  sulla  spiaggia  e  noi  allora  carichiamo  tutto

quello  che  possiamo  sui  carri  e  lo  portiamo  a  casa>>.

   L’uomo  però,  non  conoscendo  ancora  il  carattere  e  le  idee  di

Antonio  non  gli  aveva  spiegato  bene  come  veramente  avvenivano

le  cose.    Le  navi  infatti  venivano  attirate  verso  gli  scogli  ingannate

dalla  luce  del  grande  fuoco  che  loro  avevano  acceso  e  che  dai 

marinai veniva  preso  come  un  segnale  di  sicuro  approdo,  e  che  poi

non  bisognava  lasciare  vivi  i  superstiti  per  impedire  che  potessero 

denunciare  il  loro  criminale  operato.

  Queste  cose  però  Antonio  le  imparò  in  seguito  e  non  trovò  nulla

di  strano  in  quel  modo  di  fare  visto  che  lui  era  abituato  a  vivere

tutti  i  giorni  di  stenti  e  di  sotterfugi,  spesso  non  troppo  leciti,  nel

suo  ovile  in  cima  alla  montagna.

  Quella  prima  volta  la  nave  era  arrivata  quasi  all’imbrunire  ed  era 

già  buio  pesto  quando  urtò  contro  la  scogliera  e  rotolò  a  pezzi  sulla 

spiaggia.

  I  pirati  naufragatori  avevano  preparato  delle  rudimentali  torce  fatte

con  lunghi  bastoni  in  cima  ai  quali  avevano  legato  pezzi  di  lardo  e 

di  grasso  e  con  quelle  fumose  luci  cercavano  di  illuminare  gli  oggetti 

sparsi  sulla  spiaggia.

  Ognuno  lavorava  per  conto  proprio  senza  intralciare  o  litigare  con

gli  altri  tanta  era  l’abbondanza  delle  cose.  Ben  presto  i  più  esperti

avevano  caricato  il  proprio  carro  e  già  si  erano  incamminati  verso

le  loro  case.

  Antonio,  che  mon  aveva  mezzo  di  trasporto,  aveva  scelto  solo

oggetti  piccoli  e  leggeri  come  stoffe  ed  utensili  che  aveva  messo

dentro  un  grosso  pezzo  di  vela  che  poi  avrebbe  annodato  ai  quattro

capi  facendone  una  specie  di  sacco.  La  fortuna  dei  principianti  gli

fece  trovare  anche  un  piccolo  scrigno  dentro  il  quale  oltre  a  vari 

oggetti  preziosi  c’erano  anche  diverse  monete  d’oro.

  Contentissimo  aveva  salutato  il  suo  amico  e  si  era  incamminato,

col  sacco  sulle  spalle,  verso  il  suo  ovile  in  montagna.

  Quando  era   arrivato  a  casa  era  già  giorno  inoltrato  e  subito  si  era 

dato  da  fare  per  mettere  ad  asciugare  le  preziose  stoffe  e  i  vari 

oggetti  che  aveva  portato  ed  aveva  vuotato  su  un  tavolo  il  contenuto 

dello  scrigno.

  Alla  luce  del  giorno  le  pietre  preziose  e  l’oro  brillavano  in  un

modo  straordinario  e  lui,  che  non  aveva  mai  visto  niente  di  simile,

rimase  per  molte  ore  ad  ammirare  estasiato  quel  piccolo  tesoro  che

gli  avrebbe  permesso  di  comprarsi  altre  capre  ed  un  carro  coi  buoi

da  usare  nei  futuri  viaggi.

  Non  sempre  però  le  navi  erano  cariche  di  oggetti  preziosi  e  spesso

era  tornato  a  casa  con  pochi  stracci  ed  assi  di  legno  che  aveva

usato  per  riparare  ed  ingrandire  la  casa  dove  abitava.

  Comunque  a  lui  piaceva  andare  sulla  scogliera  nei  giorni  di  tempesta 

perché  almeno  così  interrompeva  la  monotona  e  solitaria  vita  che 

faceva  su  in  montagna.

  Un  giorno  però  un  naufragio gli  avrebbe  cambiato  la  vita.   All’arrivo

del  Maestrale  e  dei  nuvoloni  tempestosi  aveva  preparato  il  carro  ed

era  sceso  al  mare. 

  Sulla  scogliera  lo  aspettavano  già  numerosi  amici  che  avevano  acceso 

un  grande  fuoco  e  scrutavano  ansiosi  il  mare.

      Sul  tardi,  in  mezzo  alla  foschia  ed  alla  schiuma  delle  altissime  onde 

era  apparsa  una  grossa  nave  che  dopo  aver  doppiato  l’isola  di  Capraia 

cercava  di  infilarsi  nel  canale  tra  l’isola  e  la  terraferma  per  mettersi  al 

riparo  sottovento.

  Il  capitano,  di  certo  un  esperto  lupo  di  mare,  manovrava  in  modo 

straordinario  ed  accostava  e  si  allontanava  dagli  scogli  sfruttando  le 

forti  correnti  ma  ad  un  tratto  aveva  puntato  la  prua  della  nave  in 

modo  deciso  verso  la  scogliera.

  Probabilmente  le  vedette  gli  avevano  segnalato  la  luce  del  fuoco

dei  pirati  e  subito  aveva  manovrato  convinto  di  infilarsi  in  un  sicuro 

approdo.

  La  grande  nave  aveva  sbattuto  contro  la  scogliera  con  un  rumore

talmente  forte  da  superare  il  fragore  della  tempesta.   Lo  scafo  si  era 

spezzato  in  due  e  dalla  stiva  era  uscito  fuori  tutto  il  carico.

   Ben  presto  i  resti  della  nave  ed  il  suo  carico  erano  stati  buttati  sulla 

spiaggia  e  subito  i  pirati  si  erano  dati  da  fare  per  scegliere  e  caricare 

sui  carri  le  merci  più  preziose  senza  minimamente  curarsi  delle  grida 

di  aiuto  dei  naufraghi  che  arrivavano  dal  mare.

  Anche  Antonio,  ormai  esperto,  aveva  caricato  sul  suo  carro  molti  bagagli 

e  rotoli  di  preziose  stoffe  assieme  a  qualche  baule  pieno  di  abiti  ed 

oggetti  personali  dei  passeggeri.

  Quando  pensava  ormai  di  aver  finito  e  stava  per  andar  via  aveva  visto 

in  un  punto  un  po’  lontano  dai  resti  della  nave,  un  grosso  baule  incastrato 

tra  le  rocce  della  scogliera.

  Si  era  avvicinato  e  dopo  averlo  aperto  stava  controllandone  il  contenuto 

quando  da  sotto  gli  abiti  vide  spuntare  la  testa  di  una  ragazza. 

  Alla  rossa  luce  della  fiaccola   gli  occhi  sbarrati  dalla  paura  e  dal  terrore 

di  quella  poveretta  sembravano  due  tizzoni  accesi.

  Istintivamente  Antonio  aveva  preso 

il  coltello  per  colpire  ed  eliminare

così  un  pericoloso  testimone  ma  il 

pianto  ed  il  tremore  di  quel  povero 

essere  lo  avevano  mosso  a  compassione 

e  dopo  aver  richiuso  il  cofano  lo  aveva

caricato  sul  carro  con  tutto  il  contenuto.

  Aveva  poi  ricoperto  il  carico  con  i  pezzi 

di  una  vela  e,  dopo  aver  salutato  in  fretta

gli  amici,  era  subito  partito  verso   i  monti.

  Quasi  sicuramente  nessuno  aveva  visto  nulla  ma  Antonio,  per  essere  più  tranquillo,  pungolava  ed  incitava  i  suoi  buoi  perché  camminassero  il  più 

in  fretta  possibile.

   Era  ansioso  di  arrivare  sui  suoi  monti  dove  solo  lui  conosceva  tutti  i 

passaggi  segreti  ed  i  nascondigli  dove  all’occorrenza  avrebbe  potuto 

rifugiarsi  se  i  suoi  compagni  avessero  scoperto  quello  che  aveva  fatto.

  Spesso  infatti  durante  le  lunghe  attese  attorno  al  fuoco  gli  altri  pirati  raccontavano  oltre  che  di  ricchi  ed  abbondanti  bottini,  anche  di  compagni, 

che  spinti  dalla  compassione  o  dal  desiderio  di  avere  delle  persone  da 

usare  come  servi,  di  nascosto  avevano  salvato  qualche  naufrago  e  lo 

avevano  portato  alle  loro  case  ma  appena  gli  altri  lo  avevano  scoperto, 

per  non  correre  il  rischio  che  quei  naufraghi  potessero  parlare  con  estranei,

erano  andati  ed  avevano  ammazzato  tutti  e  bruciato  le  case  e  le  proprietà 

dei  colpevoli. 

  Quando  Antonio  giunse  al  suo  ovile  era  già  giorno  inoltrato  e  subito  aveva

scaricato  il  grosso  baule,  lo  aveva  portato  dentro  casa  ed  aveva  acceso  il 

fuoco.     Poi  era  uscito  fuori  ed  aveva  scrutato  a  lungo  in  tutte  le  direzioni 

per  accertarsi  che  nessuno  lo  avesse  seguito  e  che  non  ci  fosse  nessun 

pastore  o  cacciatore  nelle  vicinanze.

  Solo  allora  era  rientrato  in  casa  ed  aveva  aperto  il  baule. 

Dopo  aver  rincuorato,  secondo  lui,  la  ragazza  con  buone  parole  dette  in

corsicano,  l’unica  lingua  che  lui  conosceva  e  di  cui  sicuramente  quella  non 

aveva  capito  nulla,  l’aveva  aiutata  ad  uscire  dal  baule  e  l’aveva  fatta  sedere

vicino  al  fuoco.

  Poi  aveva  tolto  dal  baule  e  dal  carro, tutti  gli  indumenti  e  li  aveva  messi

ad  asciugare  vicino  al  fuoco  ravvivando  e  rallegrando  così  con  quei  loro 

bei  disegni  e  colori  la  nera  e  tetra  cucina  della  casa.

  Allora  si  era  dato  da  fare  per  preparare  da  mangiare  perché  sia  lui  che 

la  ragazza  erano  digiuni  da  molte  ore.

  La  ragazza,  rincuorata  dal  fare  gentile  e  bonario  di  Antonio,  si  era  subito 

seduta  a  tavola  ed  aveva  divorato  di  buon  grado  tutte  le  buone  cose  che 

c’erano  perché  Antonio,  ormai  ricco,  non  viveva  più  di  stenti  e  dal  provento

delle  capre  ma  poteva  comprare  tutto  ciò  che  voleva. 

   Le  capre  le  aveva  però  sempre  tenute  sia  per  compagnia  che  per  ricordo 

dei  genitori  e  poi  erano  un  buon  alibi  perché  apparentemente  lui  viveva 

solo  dal  lavoro  di  pastore.

  Il  resto  del  giorno  Antonio  lo  trascorse  sistemando  tutte  le  cose  che  aveva

raccolto  sulla  spiaggia.

  La  ragazza  invece,  dopo  aver  mangiato  si  era  rincantucciata  vicino  al  fuoco 

e  li  era  rimasta  a  scaldarsi  ed  a  smaltire  tutta  la  paura  ed  il  terrore  che 

aveva  accumulato  in  quelle  ultime  ventiquattro  ore.

  Dopo  cena  Antonio  cedette  il  suo  letto  alla  ragazza  e  lui  si  sdraiò  per  terra

vicino  al  fuoco.

  Nei  giorni  seguenti  Antonio  cercò  con  gesti  e  mezze  parole  di  capire  e  di 

farsi  capire  dalla  ragazza  e  piano  piano,  con  molta  pazienza,  entrambi  riuscirono  a  comunicare.

  Si  chiamava  Maria,  aveva  dodici  anni  e  proveniva  dal  continente  o  forse

dall’estero,  Antonio  non  aveva  capito  bene,  ed  era  diretta  con  i  genitori  verso 

un  altro continente,  la  Spagna  o  forse  la  Francia.

  Ad  Antonio  però  tutte  queste  cose  non  interessavano  molto  ma  in  questo

modo  si  esercitavano  a  comunicare  imparando  lui  le  parole  nella  lingua  della

ragazza  e  lei  le  parole  in  corsicano.

  Dopo  parecchi  giorni  era  arrivato  il  brutto  tempo  ed  Antonio  aveva  deciso 

di  andare  giù  al  mare  per  controllare  se  per  caso  qualcuno  avesse  scoperto  qualcosa.

  Raccomandò  a  Maria  di  non  muoversi  dalla  casa  per  nessun  motivo  e  lasciati 

a  guardia  i  suoi  due  cani  feroci,  era  partito  col  carro.

  Giù  alla  scogliera  aveva  trovato  tutto  tranquillo  ed  il  solito  lavoro

si  era  svolto  nella  normalità.

  Questa  volta  però  aveva  cercato e  caricato  sul  carro  un  bel  letto,  diverse

coperte,  un  piccolo  mobile  con  dei  cassetti  e  molte  altre cianfrusaglie 

necessarie  per  non  insospettire  i  compagni  che  al  contrario  avevano  i  carri

stracarichi.      

   Al  suo  ritorno  all’ovile  Antonio  trovò  tutto  tranquillo  e  Maria  ed i  cani  gli 

corsero  incontro  felici  di  rivederlo  sano  e  salvo.

  Antonio  mise  i  mobili  nella  camera  più  bella  della  casa  dove  Maria  poté

sistemare  tutte  le  sue  cose  e  dove  avrebbe  dormito  in  modo  civile  cosa  a 

cui  Antonio,  vivendo  da  solo  con  le  capre,  non  aveva  mai  pensato.

  Così  anche  lui  aveva  trasferito  le  sue  cose  ed  il  suo  letto  dalla  cucina  in 

una  stanza  dopo  averla  ripulita  dalle  cianfrusaglie  che  c’erano.

  La  compagnia  ed  il  nuovo  tranquillo

  modo  di  vivere  piacevano  molto  ad

  Antonio  che  non  sentiva  più  la

  necessità  di  andare  a  trovare  i

  compagni  sulla  scogliera  nelle  notti 

  di  tempesta.

  Tuttavia  ogni  tanto  andava  a  trovarli

  perché  il  suo  improvviso  cambiamento

  non  li  insospettisse.

  Col  tempo  però  diradò  i  suoi  viaggi  al  mare  e  spesso,  quando  le  navi 

tardavano  più  di  un  giorno  ad  arrivare,  con  una  scusa  o  con  l’altra  ripartiva 

per  tornare  al  suo  ovile.

  Era  passato  più  di  un  anno  dall’arrivo  di  Maria  nella  sua  casa  quando  una

mattina  vide  un  uomo  con  un  cavallo  carico  che  saliva  la  ripida  strada  che

portava  al  suo  ovile.   Subito  fece  nascondere  la  ragazza  ed  assieme  ai  cani 

andò  incontro  al  forestiero.

  Si  trattava  del  suo  amico  capofamiglia  che  molto  tempo  addietro  lo  aveva

instradato  al  mestiere  di  pirata.   Era  quasi  irriconoscibile   col  viso  stanco  e 

con  la  barba, i  capelli  e  gli  abiti  in  disordine.

  Subito  Antonio  lo  invitò  ad  entrare  in  casa  ma  quello  rifiutò  perché  aveva

moltissima  fretta  di  raggiungere  una  località  verso  il  centro  della  Corsica 

dove  c’erano  degli  amici  che  gli  avrebbero  procurato  un  sicuro  rifugio.

  Era  passato  li  per  avvertirlo  che  le  autorità  avevano  scoperto  il  loro 

criminale  lavoro  ed  avevano  arrestato  la  maggior  parte  dei  componenti 

della  banda  e  che  lui  era  riuscito  a  scappare  appena  in  tempo  perché 

avvertito  da  persone  fidate.

  Gli  raccomandato  quindi  di  fare  anche  lui  al  più  presto  i  bagagli  e 

di  cercarsi  un  posto  sicuro  dove  nascondersi  per  molti   anni  perché

le  autorità  conoscevano  ormai  i  nomi  di  tutti.   Dopo  di  che, risalito  a 

cavallo  si  allontanò  verso  gli  alti  monti  dell’interno.

  Appena  il  suo amico  era  scomparso  alla  vista  Antonio  chiamò  Maria  ed 

assieme, in  tutta  fretta,  prepararono  i  bagagli.   Presero  con  loro  i  soldi, 

i  cani  e  solo  cose  indispensabili  e  leggere  da  poter  portare  in  un  cesto 

ed   in  una  capiente  bisaccia.

  Dovevano  infatti  partire  a  piedi  perché  nei  posti  dove  dovevano  passare 

non  c’erano  strade  ed  il  carro  era  del  tutto  inutile.

  Iniziò  così  per  Antonio  e  la  sua  compagna  un  viaggio  interminabile  sui

monti  e  le  valli  paludose  e  malsane, sempre  molto  lontani  dai  centri  abitati

avvicinandosi  con  molta  cautela  agli  ovili  per  comprare  dai  pastori  generi

alimentari  di  prima  necessità.   La  loro  meta  era  il  sud  della  Corsica  da  dove

avrebbero  potuto  fuggire  con  facilità  in  Sardegna.

  Finalmente  dopo  parecchi  giorni  di  fatica  e  di  stenti,  sempre  con  lo  spettro

della  polizia  alle  calcagna,  erano  giunti  sulla  costa  nei  pressi  di  Bonifacio  da

dove  si  vedeva  la  tanto  desiderata  Sardegna.

  Rimasero  nascosti  in  una  grotta  della  scogliera  per  molti  giorni  diffidando  di

tutto  e  di  tutti  perché  era  risaputo  che  quella  costa  era  da  sempre  usata  dai

fuggiaschi  per  scappare  dalla  Corsica  e  quindi  era  molto  frequentata  dai

gendarmi  e  da  persone  che  si  arricchivano  riscuotendo  le  taglie  dei  ricercati 

che  riuscivano  a  individuare  e  a  denunciare.

  Per  risparmiare  i  pochi  viveri  che  avevano  con  loro,  Antonio  di  notte 

raccoglieva  in  mare  conchiglie  e  lumache  e  qualche  volta  riusciva  a 

prendere  anche  qualche  pesce.   Di  notte  poi  era  sempre  vigile  per  avvistare

qualche  barca  di  pescatori  che  potesse  passare  li  vicino.

  Finalmente  una  notte  senza  luna  una  barca  passò  vicinissima  alla  grotta  e

Antonio,  con  fare  disinvolto,  salutò  a  gran  voce  l’uomo  che  stava  ai  remi.

  Quando  quello  gli  rispose,  Antonio  gli  chiese  se  aveva  pesce  da  vendere. 

Per  tutta  risposta  l’uomo  accostò  lentamente  a  riva  ma  appena  fu  sceso a 

terra  Antonio  gli  mise  sotto  il  naso  una  grossa moneta  d’oro.   Il  pescatore 

capi  subito  le  intenzioni  di  Antonio  e  senza  parlare  lo  invitò  con  un  gesto 

a  salire  in  barca.

  Quando  Antonio  gli  spiegò  che  non  era  solo  ed  aveva  bagagli  il  pescatore 

gli  mormorò  che  non  c’era  nessun  problema  e  che  voleva  solo  sapere  dove

voleva  andare.

  In  Sardegna  gli  rispose  Antonio  possibilmente  in  un  posto  lontano  da  grossi

centri  abitati.    Il  pescatore   annuì  con  un  cenno  della  testa  e  lo  aiutò  a 

caricare  i   bagagli. 


  Quando  la  barca  si  staccò  dalla  riva  ad  Antonio  sembrò  che qualcosa  si 

fosse  staccato  dal  suo  corpo  e  fosse  rimasto  nella  sua  terra  ma  nessuno  al 

buio  si  accorse  delle  lacrime  che  gli  bagnavano  gli  occhi.

  Dopo  alcune  ore  il  buon  pescatore  approdò  nella  spiaggia  di Santa  Reparata, 

a  Capo  Testa  in  Sardegna,  aiutò  Maria  a  scendere,  portò  giù  i  bagagli  e  dopo

aver  abbracciato  i  due  ed  augurato   buona  fortuna  diede  loro  quelle  poche 

provviste  che  aveva  con  se  .

  Antonio  vista  la  sua  bontà  e  lealtà  lo  ricompensò  volentieri  con  due  monete

d’oro.  <Andate  sempre  dritti  verso  sud>,  disse  loro  il  pescatore,  <troverete  uno

stazzo  con  delle  brave  persone  e  dite  loro  che  vi  manda  Pietro>.

  I  due,  presi  i  bagagli  e  sempre  scortati  dai  fedeli  cani,  andarono  verso  un 

folto  gruppo  di  alberi  non  lontano  dalla  riva  e  li  si  sistemarono  sotto  grosse

rocce  per  riposare  e  dormire.

  L’indomani,  come  se  la  Sardegna  avesse  voluto  dare  loro  il  benvenuto,  era 

una  bella  giornata  di  sole  e  Antonio  e  Maria  dopo  aver  fatto  un’abbondante

colazione  si  incamminarono  verso  lo  stazzo  che  si  vedeva  in  lontananza.

  Finalmente  dopo  tanto  tempo  potevano  camminare  alla  luce  del  giorno 

senza  doversi  guardare  da  ogni  parte  per  non  essere  sorpresi  dai  gendarmi.

  Verso  mezzogiorno  giunsero  allo  stazzo  e  li  il  nome  di  Pietro,  come  una 

parola  magica,  aprì  loro  le  porte  perché  tutti  facevano  a  gara  per  ospitarli 

e  rifocillarli.

  Antonio  chiese  al  capofamiglia  se  poteva  procuragli  un  cavallo  per  poter

trasportare  i  bagagli  che  avevano.   Il  buonuomo  lo  rassicurò  che  l’indomani

  avrebbe  avuto  il  suo  cavallo  e  intanto  sarebbero  rimasti  loro  graditi  ospiti.

  L’indomani  mattina  Antonio  caricati  i  bagagli  sul  cavallo,  fato  salire  in  groppa

Maria  e  ringraziato  e  ricompensato  con  una  moneta  d’oro  gli  abitanti  dello

stazzo  si  era  incamminato  verso  l’interno.

   Dopo  aver  camminato per  tutto  il  giorno  erano  arrivati  nei  pressi  di  un 

altro  stazzo  posto  in  cima  ad  una  collina  da  dove  si  potevano  vedere  la 

costa  ed  i  monti  della  Corsica.

  Ad  Antonio  piacque  molto  quel  posto  perché  gli  sembrava  di  essere  quasi 

a  casa  sua  e  perciò  decise  che  per  il  momento  si  sarebbero  fermati  li.  

   Gli  abitanti,  sentito  il  nome  di  Pietro  e  del  capofamiglia  dello  stazzo  dove

erano  stati  il  giorno  precedente,  li  avevano  accolti  molto  volentieri.

  Antonio  chiese  al  capofamiglia  se  in  quel  posto  c’era  della  terra  in  vendita

perché  lui  aveva  pensato  di  fermasi  li.   Il  capofamiglia  lo  aveva  accompagnato 

su  di  un’altura  dove  c’era  un  vecchio  pagliaio  abbandonato  e  gli  aveva  detto 

che  se  aveva  voglia  di  lavorare  avrebbe  potuto  dissodare  e  piantare  quel 

terreno  che  lui  gli  avrebbe  venduto  a  buon  prezzo.

  Dopo  aver  pattuito  il  prezzo  per  una  moneta  d’oro  Antonio  aveva  scaricato  il

cavallo,  aveva  dato  una  buona  ripulita  alla  vecchia  casa  e  si  erano  sistemati 

in  modo  provvisorio  in  attesa  di  riposarsi  dal  lungo  e  faticoso  viaggio.

  Era  un  posto  bellissimo  e  poi  la  sola  vista  della  sua  Corsica  sembrava  avergli

dato  una  forza  eccezionale.

   Così  non  passò  molto  tempo  che  Antonio  con  l’aiuto  degli  abitanti  dello 

stazzo  aveva  costruito  una  grande  e  bella  casa,  aveva  comprato  del  bestiame 

ed  aveva  iniziato  a  piantare  un  frutteto,  una  vigna  ed  un  orto.

   Acquistata  una  certa  tranquillità,  la  vita  di  Maria  ed  Antonio  si  era 

trasformata  piano  piano  da  semplice  convivenza  fraterna  in  qualche  cosa  di 

più  e  così  avevano  deciso  di  sposarsi.

  Gli  abitanti  dello  stazzo  furono  felicissimi  di  avere  una  nuova  famiglia  nel 

loro  territorio  e  parteciparono  con  grandi  feste  al  loro  matrimonio.

  Tutto  sembrava  essersi  risolto  nel  migliore  dei  modi  e  Maria  ed  Antonio

vivevano  felici  in  armonia  con  i  vicini.

  Ma  Antonio  non  sapeva  che  da  tempo  quella  buona  gente  era  stata  presa 

di  mira  da  sfaccendati  malviventi  che  ogni  tanto  andavano  a  depredare 

tutto  quello  che  c’era  di  buono  nelle  loro  case  minacciandoli  di  morte  se

avessero  denunciato  il  fatto.

  Un  giorno  due  individui  armati  di  stocco  e  pugnale  erano  arrivati  a  casa 

di  Antonio  e  con  fare  prepotente  gli  avevano  intimato  di  dar  loro  i  soldi.

  In  quel momento  il  sangue  corsicano  di  Antonio  condito  con  abbondante 

spirito  piratesco  si  era  messo  a  ribollire  nel  suo  corpo  e  con  un  solo  cenno

degli  occhi  aveva  aizzato  i  suoi  feroci  cani  che  erano  saltati  alla  gola  dei

due  malcapitati.   Poi  afferrato  il  suo  stocco  da  dietro  la  porta  stava  per 

infilzarli  come  due  polli  quando  un  urlo  della  moglie  lo  aveva  fermato.

  Maria  aveva  ragione  non  era  più  un  pirata  sanguinario  ed  era  compito  della

legge  fare  giustizia.

  Allora  aveva  legato  i  due  malviventi  e,  aiutato  dai  cani  che  ogni  tanto  li

morsicavano,  li  aveva  trascinati  allo  stazzo  dei  vicini  e  lì  li  aveva  legati  ad 

un  albero  nella  piazza  ed  aveva  chiamato  a  raccolta  tutti  gli  abitanti.


  Il  capofamiglia,  tutto  tremante,  gli  aveva  raccontato  che  da  molto  tempo 

quei  due  assieme  ai  loro  degni  compagni  li  minacciavano  e  li  derubavano 

ma  che  loro  non  avevano  mai  avuto  il  coraggio  di  ribellarsi.

  Allora  Antonio  aveva  mandato  un  ragazzo  a  chiamare  i  gendarmi  che 

furono  subito  informati  di  quello  che  accadeva  e  dei  nomi  dei  complici.

  Per  paura  di  rappresaglie  Antonio  comprò  numerose  armi  che  distribuì  tra  

gli  abitanti  dello  stazzo  ed  invitò  anche  quelli  degli  stazzi  vicini  a  fare 

altrettanto.   Lui  stesso,  espertissimo  nell’uso  di  quelle  armi  aveva  iniziato  ad

insegnare  a  tutti  come  dovevano  adoperarle.

  Ben  presto  tutti,  anche  i  bambini,  sapevano  usarle  ed  incoraggiati  dalle 

parole  di  Antonio  erano  pronti  ad  adoperarle  per  difendere  le  loro  famiglie 

e  le  loro  case.

  Insegnò  anche  come  rinforzare  e  fortificare  le  porte  e  le  finestre  delle 

case  e  mandò  degli  uomini  in  Corsica  per  comprare  dei  cani  feroci  come  i 

suoi  da  tenere  in  ogni  casa.    Questi  cani  corsicani,  grandissimi  e  ferocissimi,

pronti  a  dare  la  vita  per  i  padroni,  erano  sicuramente  i  discendenti  di  quei 

cani  che  anticamente  i  Romani  avevano  portato  in  Corsica  ed  in  Sardegna 

per  stanare  dai  monti  i  ribelli  ed  i  banditi.     

  E  così  i  soldi  di  Antonio,  che  erano  stati  guadagnati  in  modo  criminale  e

disonesto  stavano  servendo  per  far  trionfare  il  bene,  l’onestà  e  la  giustizia.   

  La  notizia  di  un  valoroso  e  coraggioso  uomo  che  aveva  armato  e  fortificato 

gli  stazzi  nel  nord  della  Gallura  si  diffuse   ben  presto  dappertutto  e  nessun

malintenzionato  osò  più  metterci  piede.

  Tutti  ormai  consideravano  Antonio  il  “Capo”  assoluto  (Su  Mere),  e  ovunque

andasse,  era  riverito  ed  accolto  con  grandi feste.

  Ben  strano  destino  quello  di  un  pirata,  da  bandito  feroce  e  sanguinario 

a  paladino  del  bene  e  della  giustizia  ma  questo  era  sicuramente  successo 

perché  sia  lui  che  la  moglie  discendevano  da  persone  oneste  e  buone  e  il 

breve  episodio  di  disonestà  che  gli  era  capitato  nella  vita  non  aveva  per 

niente  intaccato  il  suo  buon  carattere.

  Quando  la  gente,  amici  o  nemici  che  fossero,  parlava  di  Antonio  lo  indicava

sempre  come  “Su  Mere  De  Sa  Idda”  (Il  Padrone  Del  Paese)  perché  nessuno 

ne  conosceva  il  cognome.

  Neanche  lui  lo  conosceva  perché  i  genitori  lo  avevano  sempre  chiamato  per

nome  e  lui  non  aveva  mai  sentito  pronunciare  nessun  cognome  che  forse

neanche  i  suoi  genitori  avevano  o  conoscevano.

  Così  all’inizio  tutti  lo   chiamavano  Antonio  Su  Mere  De  Sa  Idda  e  poi  in 

modo  più  abbreviato  Antonio  Mere ‘E  Idda”,..…e   ancora  Antonio  Mere

Idda”……per  finire  col  termine  più  semplice  di…..  …………

.……  “Antonio  Meridda”.

  §- Il  sole  era  ormai  tramontato  e  sui  monti  scuri  della  Corsica  non  si 

vedeva  più  nessuna  figura  o  immagine  in  movimento  ed  Antonio  Meridda,

chiusi  gli occhi,  si  addormentò  tranquillo  e  felice  sperando  di  sognare  la 

sua  cara  e  tanto  amata  Corsica.

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    ( -Giuseppe  Meridda  Saba  Poeta  di  Ozieri- )                              

(fotomontaggio  digitale  di  Pier  Gavino  Meridda)

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Albero  genealogico  della  famiglia  Meridda  di  Ozieri  dal  1800

Salvatore  Meridda (17../18.. ?)         sposa          Maria  Tanda  (17../18.. ?)

(hanno  4  figli)

Meridda  Tanda               Meridda  Tanda             Meridda  Tanda             Meridda  Tanda       

     Antonio  Raimondo           Giuseppe  Maria                    Gavino                              Giovanni

          nato  Ozieri                           nato  Ozieri                     nato  Ozieri                      nato  Ozieri

                   17- 04 – 1831                     08 – 02 – 1839                13 – 10 – 1841               29 – 09 – 1844

 

 

Meridda   Tanda  Antonio  Raimondo       sposa        Elisabetta  Saba

                 (hanno  1  figlio)

Meridda   Saba  Giuseppe  Maria        sposa        Carmela   Cattina

nato  Ozieri  17 – 09 -  1864                                   nata ????????????

                   (hanno  2  figli)

Meridda   Gavino                                   Meridda  Antonio

nato  Ozieri  08 – 10 – 1894                   nato  Ozieri  ??????????

                                                                                                              

Meridda    Gavino               sposa        Rosa  Dessena  (21 – 05 – 1904)

                     (hanno  8  figli  tutti  nati  ad  Ozieri)

Carmela  (1926)

Peppina   (1928)

Nino  (Antonio)  (1929)

Graziella (Gabriella  Maria Grazia)  (1931)

Mario   (1934)

Michele  (1937)

Angelo   (1939)

Rino  (Salvatore)  (1945)

 

Angelo    Meridda                 sposa           Maria    Murru   

               (Hanno  un  figlio)

  Pier   Gavino   Meridda


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Albero  genealogico  della  famiglia  Meridda  di  Bitti  dal  1800

Salvatore  Meridda (17../18.. ?)        sposa            Maria  Tanda  (17../18.. ?)

(hanno  4  figli)

Meridda  Tanda              Meridda  Tanda              Meridda  Tanda              Meridda  Tanda        

      Antonio  Raimondo         Giuseppe  Maria                      Gavino                             Giovanni

nato  Ozieri                          nato  Ozieri                      nato  Ozieri                      nato  Ozieri


          17- 04 – 1831                     08 – 02 – 1839                13 – 10 – 1841                  29 – 09 – 1844

 

    Meridda  Tanda  Giuseppe  Maria            sposa             MELE   ANTONIA

                                      ( Su   Famosu )

          ( hanno  un  figlio  che  si  trasferisce  a  BITTI )

Giovanni    Meridda  (1864?)         sposa          Giovanna    Farina  (1866)

         ( hanno  7  figli )                                                                                      |  Francesco

Giuseppe   (1890)                                                                                     |  Giovanna  Maria

Antonio  Maria  (1892)                                                                            |  Giorgio

Francesca  (1895)                                                                                     |  Pietrina  (Piera)

Giuseppa  (1897)---> sposa  Francesco  Carzedda ----> (hanno  9  figli  )

Annunziata  (1900)                                                                                       |  Luisa

Ciriaco   (1904)  -->  emigra  in  Argentina                                          |  Antonietta

Giovanna  (1907)                                                                                       |  Elia

                                                                                                                       |  Annetta

                                                                                                                       |Peppina


IN  ARGENTINA

   Ciriaco  Meridda  (1904)                sposa             Maria  Luisa  Leiva

                    (hanno  un  figlio)

Juan   (Giovanni)   Meridda  (1930)          sposa              Nelly   Ruani 

                     (hanno  due  figli)

                  - Cesare   Meridda   

                                      -  Cecilia  Meridda

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Angelo  Meridda  Dessena
via  San  Giorgio  19
09070  Milis  (OR)  tf. 078351256
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